Il 7 Aprile finalmente è arrivato Godot. E’ arrivato in via Cesalpino 12 dove un gruppo di studenti ha deciso di porre fine ad un’attesa, quella di una casa, che altrimenti sarebbe stata infinita. L’idea non è nata certo quel giorno.
Era un pomeriggio di 10 mesi fa quando per la prima volta ci siamo trovati intorno a un tavolo accomunati da un sogno e da un bisogno. Il bisogno di una casa e il sogno di una società diversa. Una società in cui le persone e le loro necessità vengano prima degli interessi economici di pochi.
A Roma poi, città in cui in nome degli interessi di quei pochi si continua a costruire ignorando volutamente la presenza di migliaia di stabili sfitti, quella voglia di cambiamento risulta particolarmente pressante.
Nella nostra idea di società gli stabili abbandonati dovrebbero essere sottratti alla speculazione e restituiti alla città sotto forma di servizi accessibili a tutti come case, studentati, mense, asili, palestre: centri di aggregazione e socialità gestiti dagli abitanti per gli abitanti. Questo voleva essere Godot: uno studentato autogestito da noi studenti.
Una volta preso atto dell’incapacità delle amministrazioni pubbliche di rispondere all’esigenza abitativa studentesca e non di questa città, infatti, abbiamo deciso di riprenderci dal basso quello che ormai da tempo abbiamo smesso di sperare che ci possa venir dato dall’alto: una casa. Ecco perché abbiamo deciso di chiamare così il nostro studentato.
In fondo chi è Godot? Godot è un qualcosa che si aspetta con ansia ma che non arriva mai.
Abbiamo capito che se ci fossimo abbandonati ad un’attesa passiva noi, giovani studenti e precari poco inclini ad adeguarci alle regole che ci impone questa società, avremmo passato tutta la vita ad aspettare Godot. Ad aspettare una casa.
Siamo partiti quindi dalla convinzione che se non ce lo fossimo preso da soli nessuno ci avrebbe mai dato un tetto. Scardinare l’idea che il bisogno di una casa riguardi solo quegli studenti, pochi e “meritevoli”, a cui rivolge il suo sguardo l’ente regionale per il diritto allo studio Laziodisu è stato uno dei nostri primi obiettivi.
A nostro avviso non “merita” una casa solo lo studente che viene da una regione lontana.
Non “merita” una casa solo lo studente che acquisisce i crediti formativi richiesti nel bando.
Non “merita” una casa solo chi ha un ISEE particolarmente basso.
Semplicemente perché la casa non è un “merito”, ma un diritto.
Un diritto che rivendichiamo anche noi:
Studenti idonei non vincitori di posti alloggio. Studenti esclusi dal bando solo perché residenti nella regione Lazio. Studenti che credono di avere diritto ad una vita autonoma e dignitosa e che rifiutano il ricatto di chi ci chiede di scegliere tra rimanere in casa dei nostri genitori oppure mercificare la nostra emancipazione facendo lavori saltuari, precari e malpagati solo per poter pagare un affitto.
A tutto questo noi abbiamo deciso di rispondere con l’unico modo possibile: occupare uno dei 260mila stabili abbandonati censiti nel comune di Roma. L’organizzazione non è stata semplice. Intorno ad un bisogno ci siamo incontrati sperimentandoci per mesi tra sportelli, assemblee, azioni, pranzi sociali e traslochi. Nel fare questo ci siamo conosciuti creando dei legami più forti di qualsiasi sgombero e qualsiasi manganello.
Per questo scriviamo queste righe. Per raccontare quella fugace visita di Godot del 7 Aprile in via Cesalpino in attesa del suo arrivo definitivo. Quello stabile, chiuso da anni, aveva visto tra le sue mura studenti di Lingue e di Economia. Una volta dismessi i dipartimenti che vi si trovavano l’Università La Sapienza ha riconsegnato al proprietario un immobile su cui, a fronte della destinazione d’uso vincolata ad attività culturali, è impossibile fare profitto.
Di lì la vendita della palazzina ad un altro privato, al quale, nel giro di qualche mese, è stata confiscata con l’accusa di essere implicato in attività di stampo mafioso. La confisca avvenuta ad ottobre ci ha fatto pensare che quel posto, ormai a tutti gli effetti di proprietà dello Stato, sarebbe potuto diventare uno studentato sito a meno di un chilometro dalla Sapienza che avrebbe potuto sottrarre 40 studenti al ricatto dell’affitto. Ma non è andata così.
Il 7 Aprile abbiamo aperto quello spazio abbandonato che avremmo voluto far rivivere sottraendolo alla speculazione. Dopo meno di un’ora dal nostro ingresso, però, 3 camionette hanno chiuso la via e senza tentare alcuna interlocuzione con gli occupanti 4 reparti celere hanno indossato i caschi e scavalcato il muretto del giardino. Sapevamo che c’era il rischio di un intervento delle forze dell’ordine e lungi da noi il voler fare del vittimismo su quanto accaduto. Di certo però non potevamo aspettarci di essere aggrediti con badili e arnesi di fortuna da chi è già di per se equipaggiato di casco, scudo e manganello.
In ogni caso la nostra resistenza passiva sul tetto ha permesso di prendere tempo a tutte le altre realtà che sul territorio di Roma quel giorno, coordinate con noi, avevano tentato di riprendersi una casa. Nonostante ciò, solo due delle sei occupazioni del 7 aprile hanno resistito quel giorno, per andare incontro a violenti sgomberi nei giorni successivi. Prendiamo quindi atto del fatto che le nostre amministrazioni pubbliche, partendo dal Governo per finire al Comune passando per la Regione, considerano oggi l’emergenza abitativa come una mera questione di ordine pubblico da affrontare con i reparti celere inviati a ripristinare la legalità.
Noi in questa legalità fatta di stabili abbandonati e persone senza un tetto sotto cui dormire non possiamo e non vogliamo riconoscerci.
Abbiamo quindi intenzione di proseguire lungo la strada tracciata e se il nostro bisogno di una casa è illegale continueremo ad agire nell’illegalità per soddisfare il nostro bisogno e realizzare il nostro sogno di una società diversa.
Non sappiamo se ci riusciremo con la stessa, ma come cantiamo spesso nelle piazze e nelle strade: “sappiamo che in ogni caso apriremo un’altra porta!”.
Godot tornerà, statene certi.