La Camera dei deputati ha avviato venerdì 21 novembre l’esame del Jobs Act e la discussione riprenderà lunedì mattina e il voto finale sul testo dovrà arrivare entro il 26, per poi passare in terza lettura al Senato. Il tutto dovrebbe essere chiuso per il 9 dicembre e le nuove regole potrebbero essere operative già da gennaio. Questo provvedimento si lega agli altri decreti convertiti in legge dal governo Renzi, delineando una riforma profonda dei diritti e del welfare, tale da rendere strutturale la condizione di precarietà per milioni di donne e uomini. Oltretutto i territori vengono concepiti come risorsa da saccheggiare e mettere a valore, in funzione dei profitti della rendita. Un modello di sviluppo criminale che avvilisce la dignità delle persone, devasta l’ambiente, cancella conquiste sociali storiche.
La crisi in questa maniera viene caricata su fasce sempre più ampie di società e soprattutto sulle giovani generazioni. L’operazione mediatica con cui il governo cerca il consenso alle sue manovre, tutta basata sul nuovo che avanza contro lobbie e potentati sindacali e politici, comincia però a mostrare le prime crepe. Non bastano più gli 80 euro in busta paga o altri bonus di vario genere, perché la sostanza dei nuovi dispositivi di legge sul mercato del lavoro, sulla vendita del patrimonio pubblico, sull’inasprimento della tassazione e sulle privatizzazioni, sulla mercificazione del suolo e dei beni comuni da sacrificare alla realizzazione di grandi opere e grandi eventi, sul restringimento del diritto allo studio, sta mostrando il volto duro di un governo autoritario e poco disponibile al confronto. Un progetto quello di Renzi che trasformando il Pd intende trasformare il Paese, con la dichiarata visione di un solo uomo e un solo partito al comando.
I tagli nei servizi, la minacciata vendita all’asta delle case popolari, l’aggressione nei confronti di chi si organizza in modo autonomo dentro la crisi, l’impoverimento progressivo con la conseguente stagnazione nei consumi, l’annichilimento degli strumenti di democrazia partecipativa, lo svuotamento di senso dello strumento elettorale, rendono evidente che una parte rilevante di chi abita questo Paese è ormai estraneo alle scelte del Governo e delle forze politiche, destinato solo a subire un decreto dietro l’altro senza poterlo minimamente condizionare.
La rabbia che si produce per questa situazione e che trova visibilità a tratti solo se si supera la soglia del consentito, rischia anche di scagliarsi contro il migrante o il diverso, come sta succedendo nelle periferie romane. Con le strumentalizzazioni xenofobe e fasciste che anche la Lega ha deciso di fare proprie stringendo solide alleanze con Casapound, Forza Nuova e Fratelli d’Italia.
Le iniziative che nei mesi di ottobre e novembre hanno mantenuto vivo il conflitto contro i provvedimenti del Governo Renzi e del suo ministro alle Infrastrutture Lupi, dicastero chiave in questo momento insieme a quello dello Sviluppo Economico, e che hanno attraversato i territori, hanno picchettato fabbriche, bloccato strade, resistito agli sfratti e agli sgomberi, contrastato i rigurgiti razzisti e le parate fasciste, devono cercare e trovare necessariamente un momento di confronto.
Protagonisti ancora una volta sono stati gli studenti e le studentesse degli istituti superiori che in migliaia hanno attraversato la giornata del 14 novembre , segnale sempre più chiaro di come le nuove generazioni siano in prima linea nell’opposizione al governo Renzi ed in particolare alla sua “Buona Scuola” , che dietro la logica della meritocrazia nasconde definanziamento ,privatizzazioni e repressione .
In questi giorni azioni e occupazioni si stanno diffondendo in tutto il territorio romano esprimendo la diffusa volontà studentesca di creare nuovi momenti di mobilitazione che si connettano con l’arcipelago di lotte sociali , da chi si oppone al piano casa e al Job Act fino alle battaglie contro grandi opere e devastazione ambientale .
Le sperimentazioni sociali che anche a Roma hanno avuto molte facce e differenti pratiche di conflitto, diverse forme della mobilitazione, possono e debbono sedimentare passaggi in avanti che possano rafforzare l’indipendenza dei movimenti e delle reti sociali, del sindacalismo conflittuale, dell’autorganizzazione. Dentro una miscela ricca di effervescenza e di energie da spendere, nonostante i provvedimenti e gli atteggiamenti repressivi che accompagnano ormai quotidianamente le nostre mobilitazioni. E non solo le nostre.
Lo sciopero del 12 dicembre indetto da Cgil e Uil è sicuramente tardivo e si dispiega all’indomani delle decisioni sulla riforma del lavoro. Nonostante i toni aspri del confronto tra i leader confederali ed il governo, la complicità temporaneamente sospesa troverà nuovi momenti per consolidarsi e concertare soluzioni dannose per lavoratrici e lavoratori, precarie e precari. Dentro questa mobilitazione convergeranno aspettative e attraversamenti rabbiosi, la stessa Fiom porterà il suo contributo fortemente caratterizzato politicamente, molti parteciperanno convinti che questo sciopero serva a far cambiare passo all’esecutivo renziano.
È chiaro che i territori resistenti e solidali che hanno dato un’impronta sociale in rottura con pratiche di cogestione e mediazione al ribasso, vogliono continuare con questo passo e guardano allo sciopero del 12 dicembre senza facili entusiasmi. Per questo l’utile confronto che proponiamo per giovedì 27 novembre all’Università La Sapienza, ci può consentire di stare sulla scena nelle forme che si riterranno utili.