Qualche giorno fa ad una festa universitaria a La Sapienza si è toccato l’apice di una situazione che si protraeva da tempo. Per l’ennesima volta un “compagno” si è presentato ad una nostra iniziativa per provocare una nostra compagna che aveva già ricevuto dalla stessa persona spintoni e insulti. Ci interessa scrivere due parole a riguardo anche in vista del corteo del 26 novembre “Non una di meno”, che tratta proprio tematiche come femminismo, antisessismo e violenza di genere.
Per quanto ci riguarda questi temi toccano tutte e tutti noi da vicino, non solo perché quotidianamente viviamo la violenza istituzionale del Jobs Act, del Fertility Day, della Buona Scuola e dell’Alternanza scuola-lavoro, insieme a quella per strada fatta di fischi, di “abbella” e di sguardi viscidi; ma anche perché quotidianamente, in quanto compagni e compagne, attraversiamo degli spazi “altri”, delle comunità fatte di persone che spendono la propria vita per dimostrare che un altro modo di vivere è possibile, che non siamo costretti e costrette a subire a testa bassa ma che possiamo alzare la testa e far sentire la nostra voce. Proprio per queste ragioni, riflettere sulla violenza di genere da compagni e compagne significa ammettere che i problemi del mondo che ci circonda riguardano anche noi come comunità: al nostro interno esistono uomini che definiamo “compagni” e che spesso legittimiamo anche se chiaramente sessisti, violenti e maschilisti. Ci sentiamo di prendere parola su questo problema per metterci in guardia vicendevolmente sulle contraddizioni che viviamo in primis nei nostri spazi: finalmente una grande giornata come quella del 26 ci permette di prendere parola e questo deve comportare anche una presa di posizione. Quei “compagni” li legittimiamo anche se la ragazza che li ha lasciati per un altro è una “puttana”, anche se quando ricevono un NO si permettono di alzare le mani, anche se serbano allo stesso tempo rancori personali e politici e si scagliano contro chi non può competere a livello muscolare. Spesso li legittimiamo perché esteticamente sono come un compagno dovrebbe essere secondo alcuni, perché rappresentano una parte di mondo che noi vogliamo aggregare, con cui vogliamo parlare e non ci sentiamo di emarginarli perché “magari col tempo impareranno come ci si comporta”. Ma questa logica non funziona. Questa situazione ci riguarda da molto, troppo tempo l’abbiamo mandato via dal nostro spazio occupato 3 anni fa ma non è bastato e abbiamo deciso che come compagni e compagne non siamo più disposti a voltare pagina, a fare finta di niente o a tenerci i problemi per noi. Sabato sera alcune di noi hanno incontrato la persona in questione e gli hanno initimato di stare alla larga da noi. Vogliamo chiarire questo avvenimento sia perché è avvenuto davanti a molte persone che devono sapere perchè abbiamo fatto questa scelta sia come avviso per il prossimo futuro. Nonostante le minacce che ci ha rivolto, sottolineamo che in ogni aula universitaria, in ogni spazio sociale e in ogni iniziativa politica la sua presenza non passerà inosservata e non la riterremo accettabile. Abbiamo intenzione di proteggere le nostre compagne e i nostri compagni da questa persona e lo faremo ogni qual volta sarà necessario. Lui e tutti quelli che si definiscono compagni ma che nella vita si comportano da animali con le donne e con chiunque sia più debole o non può reagire, devono rendersi conto che non sono ben accetti negli spazi dove ci sono compagni e compagne. Come è già successo negli scorsi mesi per iniziativa di altre compagne che hanno denunciato la diffusione di questi problemi anche negli spazi sociali, per noi è importante che tutta la città prenda parola su questo tema, che tutte le altre situazioni di questo genere vengano fuori e che tutti e tutte insieme buttiamo fuori questa gente dai nostri spazi.